EDITORIALE
02-12-2014 di Freddie del Curatolo
I residenti se la godono.
A cena con i ristoratori di Malindi o nella piscina degli hotelier di Watamu esprimono solidarietà di comodo, fingono di preoccuparsi per la situazione ed elargiscono gratuite pacche sulla spalla: “vedrai, il Kenya si riprenderà”, ma sotto sotto, almeno per una stagione, sperano rimanga tutto com’è.
Eh, già, perché effettivamente la costa keniota non è mai stata bella e possibile come in questo periodo: pulita, tranquilla, un paradiso di relax e serenità.
Spiagge prive di beach boys che ti vendano indifferentemente safari, collanine, statuette o bilocali con cucina abitabile, pub senza studentesse di Nairobi in occasionale gita di piacere che ti saltino addosso promettendoti una lezione di anatomia africana, escursioni marine che al confronto Robinson Crusoe era un mondano, safari nello Tsavo dove sono i leoni e i leopardi ad accorrere quando vedono una macchina, spaventati da tanta quiete: “non si vede più un bianco…starà mica arrivando la fine del mondo?”.
Niente code in banca, supermercati che ti accolgono come fossi il milionesimo cliente, ricoprendoti di coccole, anacardi e tomato ketchup.
Gli indiani ti invitano a cena, gli arabi ti augurano buon Natale, gli inglesi ti salutano, i bambini giriama ti offrono le caramelle. Una pacchia.
Fatto sta che a Malindi e Watamu, e mettiamoci anche Mambrui, non siamo mai stati meglio. Basta non pensare ai soldi, agli investimenti, al Tg5, ai blog criminali.
Potrebbe essere quel naturale attimo di euforia prima del tracollo, o anche la rassegnazione che si trasforma in ironia, ma c’è un nonsoché di positività nell’aria che profuma di gelsomino e frangipani.
La verità è che a noi italiani di Malindi il turismo di massa non è mai piaciuto, avremmo preferito avere nei nostri ristoranti, nelle boutique e nelle camere d’albergo solamente miliardari con signora, giovani rampolli e belle gnocche, uomini d’affari colti e intelligenti con cui conversare e al limite qualche pollo arricchito da spennare con giudizio e col sorriso equatoriale.
Però dei vacanzieri usa e getta, dei turisti da una botta e via, la costa attuale non può fare a meno. Non ci sono charter?
Li convinciamo ad usare le linee aeree su Mombasa (“sapessi com’è suggestivo lo scalo al Kilimanjaro!”), a sobbarcarsi ore di transiti aeroportuali per arrivare a Malindi in tre o quattro rate (che culo, passerai sette ore nel Duty Free di Dubai, come vorrei farlo io, è bellissimo!”).
Perché è vero che farsi il bagno da soli a Silversand è una figata galattica, ma se va avanti così i nostri resort dovranno fare i conti, guardare ai bilanci, spegnere le arie condizionate e le pompe delle piscine.
E allora questo è un appello, cari amici italiani che vi apprestate a scegliere una meta per le vacanze invernali.
Lasciate stare i Caraibi, che comunque passate sempre sopra alle Bermudas, che gli uragani non avvertono mica quando decidono di arrivare, che a Santo Domingo non c’è l’ebola ma l’obolo, perché è sempre più pieno di poveracci per le strade, che in Giamaica si sono fumati il cervello e a Cuba prima o poi Fidel si risveglia dall’imbalsamazione e proclama uno stato leninista e vi blocca lì a fare gli operai.
Tornate in Kenya, che vi accoglierà come ha sempre fatto nella sua storia, non a mani aperte, ma a chiap…insomma, aprirà per voi tutto quel che è possibile spalancare.
E se non avete soldi, non c’è problema! Potete pagare a rate e per voi un piatto di polenta e sukuma wiki (venite qui, poi vi spieghiamo cos’è) ci sarà sempre.
Se poi toglieranno i charter, hakuna matata!
Ci sono dei bei barconi da rimettere a nuovo a Lampedusa, potete usare quelli. Avrete senza dubbio qualcosa da raccontare agli amici, invece di leggere le palle che s’inventano sulle disgrazie di questo Paese.
Karibu fratelli, vi aspettiamo in uno dei luoghi più incantevoli del pianeta, che senza di voi è ancora più bello e tranquillo, ma che se venite qui a trovarci, ma sì dai, sarà molto più divertente!
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