STORIE
06-08-2017 di Freddie del Curatolo
La maggior parte dei cittadini kenioti vive con stipendi o introiti che non superano i 100 euro al mese.
Da quando ha ottenuto l'indipendenza, il Kenya non ha mai fatto molto per elevare lo status del suo popolo, specialmente creandone i presupposti: ovvero migliorando l'educazione scolastica, abbassando i costi della sanità e migliorandone i servizi.
Spinto dall'ormai malato sistema occidentale, il Paese africano si è buttato sulla tecnologia prima ancora di gettare le basi per una vita decente del suo "quarto stato". Così ha creato un esercito di miserabili con lo smartphone e una schiera di baracche con il satellite per la tv digitale.
In compenso ha lasciato spazio al sogno.
Oggi il "sogno keniota" rischia di portare via alla povera gente, ai lavoratori e a chi sbarca il lunario, anche quei due spiccioli che si ritrovano in tasca.
Com'è stato nel dopoguerra italiano con la "Sisal", poi divenuta "Totocalcio" e negli anni Ottanta con l'avvento di "Gratta e vinci" e "Superenalotto" (tuttora in voga), il "sogno keniota" è diventare ricco azzeccando una serie di risultati sportivi su una delle piattaforme digitali in internet.
Con cinquanta scellini (che per un keniano che ne guadagna 10.000 è come dire 5 euro per chi ha uno stipendio di 1000) puoi vincerne 10 milioni (al cambio di questi giorni sono circa 85 mila euro).
E' quello che è capitato a un ragazzo di Malindi che fa uno dei mestieri più pesanti e meno remunerati sulla costa del Kenya: il cavatore.
Charo Hamisi Karisa spacca le pietre di corallo per chi fa crescere il Paese fabbricando case, proprio come chi si spaccava la schiena nelle cave italiane negli anni Cinquanta per arricchire i grandi costruttori edili.
Charo ha 24 anni, ha frequentato la scuola del suo villaggio nell'entroterra di Kilifi, aule di fango misto cemento e tetto di lamiera, e probabilmente una maestra per 90 alunni.
A Malindi ha trovato lavoro per mandare ai genitori quel poco che la sua paga permette e non si è tirato indietro, sperando di potersene permettere una sua, di famiglia.
Per chi non si lascia vincere dalla rassegnazione e dalla frustrazione mista a fatica che ti fa terminare la giornata con un bicchiere di vino di palma o di birra, c'è da spendere "un cinquantino" con le scommesse del calcio.
Così Charo a luglio di quest'anno decide di giocarsi un pezzettino della sua paga giornaliera coltivando il sogno.
Ed il sogno, qualche giorno fa, ha bussato alla sua porta o, meglio, ha suonato al suo telefonino.
Azzeccando 12 risultati sul sito Elitebet, Charo ha vinto il "jackpot" della settimana che significa appunto 10 milioni di scellini.
Il ragazzo è stato invitato a Nairobi, nella sede della piattaforma online di scommesse sportive, e si è trovato sotto i riflettori dei media che lo hanno intervistato.
La domanda di rito, ovviamente, è "cosa ne farai di tutti questi soldi".
La risposta è di quelle che fanno ancora sperare in un futuro migliore per la gente povera e semplice dell'Africa.
"Per prima cosa voglio mandare le mie sorelle minori in una scuola decente - ha dichiarato Charo all'emittente radiofonica Capital FM - non voglio che debbano frequentare la stessa scuola dove ho studiato io".
Il cavatore ammette che non smetterà di scommettere online, ma sicuramente non si lascerà attrarre dal nuovo conto in banca e avvisa anche i suoi connazionali di approcciarsi con senso della misura e saggezza a questo gioco.
"Sono contento che la società di scommesse mi abbia messo a disposizione un consulente finanziario per consigliarmi come gestire il capitale - ha detto Charo - sicuramente seguirò questi consigli e non mi farò abbagliare dalla vincita".
Elitebet ha confermato che la consulenza e i "piani finanziari" nell'elargire le vincite fanno parte degli accordi pregressi con chi gioca.
Perché dieci milioni di scellini per tanti keniani rappresentano una cifra da capogiro, che può far impazzire, creare invidie e divisioni all'interno del villaggio o del nucleo familiare. Non a caso, proseguendo nel parallelismo con l'Italia, molti milionari da schedina finirono in miseria, se non suicidi o dovettero abbandonare il paese natio o la famiglia.
Non sembra questo il rischio del giovane malindino, e gli auguriamo di cuore una crescita consapevole e, come si usa dire oggi, "sostenibile".
Come dovrebbe fare anche il suo Paese, che proprio in queste ultime settimane ha "bruciato" miliardi per una campagna elettorale che avrebbe potuto rispettare di più i sogni e la dignità delle persone come Charo.
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