SATIRA
29-07-2017 di Freddie del Curatolo
Se è vero che l’erba del vicino è sempre più verde, allora i kenioti sono molto vicini a noi.
Nel 1762 l’esploratore rasta portoghese Toquinho De Fumeiro approdò a Malindi ed esplorò per primo il bush, la rigogliosa foresta all’interno dell’insediamento sul mare.
Ne uscì rinfrancato, dopo le peripezie passate in alto mare, ma anche leggermente frastornato e, caricata a bordo una tonnellata di spezie particolari, partì con il suo equipaggio e il suo galeone, che curiosamente portava il nome di una delle caravelle di Colombo (Santa Maria), alla volta del Sudafrica, per doppiare Capo di Buona Speranza.
Invece si ritrovò non si sa come a Capo Palinuro e fu doppiato persino da una barca di pescatori di cozze.
Morì stroncato da un’impepata.
Da allora finirono le esplorazioni via mare e iniziò la moda del turismo legato alle spezie africane e al loro utilizzo quotidiano.
Erbe che curano il glaucoma, la piorrea, rallentano l’avanzare della sclerosi e sembra agiscano positivamente anche sull’avanzare dell’HIV.
Erbe che hanno la disdicevole controindicazione di farvi vedere un pipistrello che balla il charleston con una civetta, alle tre del mattino, una samosa parlante di dimensioni giganti o una zucca trainata da cavalli al posto del tuk-tuk, con a bordo una cenerentola araba barbuta di nome Ebenezer.
Dalla colonizzazione italiana in poi, sono in molti ad aver fatto uso delle spezie malindine, per entrare in sintonia con l’ambiente o con la mentalità di molti indigeni.
Anche se oggi, nonostante possa rendere la vacanza ancor più rilassante, il turismo vegetale non vegano è una prerogativa di pochi (almeno ufficialmente).
“Il gusto non è nel risultato, ma nella ricerca” diceva Alan Proust, noto filosofo e pilota di Formula Uno portato in Kenya da Flavio Briatore.
“Il gusto sta nel non mettere il filtro di cartone” diceva Claudio Martelli, parlamentare dedito alle spezie magiche keniote all'inizio degli anni Novanta e primo vero testimonial della loro popolarità in Italia.
Significativo, a questo proposito, anche il passaggio a Malindi del povero (oddio…) Edoardo Agnelli che era convinto che "Bhang" fosse un nuovo modello della Fiat, quella con il tubo di scappamento a forma di cylum, e del cantante Zucchero Fornaciari, che ha composto la sua “Menta e rosmarino”, non trovando di meglio per sostituire nei suoi pensieri le piante equatoriali che lo avevano stregato.
Tutt’altro effetto invece provoca il marungi, radice verde che si mastica insieme al chewing gum e che tiene svegli gli autisti e toglie la sbronza ai musulmani non proprio integralisti. La qualità più pregiata si chiama Kolombo, probabilmente perché il primo che l’ha trovata ha scoperto l’America.
Di sapore amarognolo, il marungi inizialmente non ha riscosso gran successo tra i mzungu, che amano sostanze eccitanti più immediate.
Da qualche anno a questa parte infatti le spezie non sono più di moda presso gli europei e anche a Malindi la mancanza di tali elisir curativi ha causato, oltre al ritorno del glaucoma e delle piorree, anche una terribile epidemia di infiammazioni al setto nasale che provocano spasmi corporali e movimenti stereotipati.
Infiammazioni che interessano anche le vie urinarie, costringendo chi ne è affetto, a recarsi più volte al bagno.
Ci si augura che, come tutte le mode, questa deviazione resti circoscritta a pochi e che l’epidemia passi in fretta.
È auspicabile che le spezie e le erbe medicinali, e un loro utilizzo parco e intelligente, possano avere la meglio su ogni virus moderno e così poco africano.
Per tutto il resto, ragazzi miei, c'è il mnazi!
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