CRONACA KENYA
30-11-2018 di redazione
Sono passati ormai nove interminabili giorni dall'improvviso, inaspettato rapimento della volontaria milanese Silvia Romano nell'entroterra della Contea di Kilifi, lungo le sponde del fiume Galana.
Ieri è stata sicuramente la giornata più silente da quando si è scatenato il frastuono mediatico in Italia, ma anche la voglia di dire la propria dei keniani della costa, le indicazioni o ipotesi delle autorità locali e le voci incontrollate di chiunque potesse anche ingenuamente assurgere ad un effimero grado di popolarità.
Solitamente il silenzio, nell'immaginario collettivo, non porta a niente di buono, la famosa "quiete prima della tempesta".
In Africa il silenzio invece è solamente saggezza, quella che si impara dai consigli degli anziani, che si riuniscono e prendono decisioni importanti utilizzando un numero minimo di parole e pesando addirittura sguardi e gesti, e che istintivamente si assorbe dagli animali, che emettono suoni e versi solo se costretti da fattori esterni o dai loro istinti primordiali.
Forse le troppe voci diffuse, anche da parte di chi ha un profilo autorevole nella vicenda, le testimonianze e i puzzle composti con pezzi di possibili itinerari, probabili operazioni, ventilate dichiarazioni e monitorati spostamenti, hanno creato facili entusiasmi in un'operazione che vede tutte le forze in campo, comprese quelle italiane giunte fin da subito sul posto, impegnate al massimo livello per la buona riuscita finale.
Nello scenario in cui ci si muove c'è un'area di macchia, savana e foresta vasta ed in buona parte inesplorata, dove vivono comunque intere famiglie e comunità e dove è possibile procurarsi cibo, acqua ed altre risorse vitali.
Non è stato e non è possibile per nessuno addentrarsi in quelle zone, le notizie che arrivano sono spesso di terza, quarta mano. I testimoni non hanno quasi mai nome, luogo di residenza e qualifica.
Le fonti sono sempre confidenziali, anonime e occasionali.
In una parola sola: inattendibili.
Come sempre c'è stato chi ha parlato e ha ritrattato, chi si è contraddetto e chi è stato smentito, dai fatti o da colleghi e superiori.
La diplomazia locale e le nostre forze speciali in questo senso hanno fatto sfoggio di grande coerenza, decidendo di mantenere il più stretto riserbo sulle ricerche della banda di criminali che hanno sequestrato Silvia e sui successivi movimenti.
Tanto che ora non sappiamo dove effettivamente potrebbe trovarsi, né in che effettive condizioni sia.
Permane la sensazione che "debba" essere viva, e questo per adesso ci deve bastare.
In questo caso il silenzio, anche quello italiano, ora è diventato un silenzio africano.
E speriamo che oltre ad essere utile, porti anche un po' di fortuna.
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