TURISMO
15-06-2020 di redazione
Il Kenya, nonostante i dati quotidiani dei contagi non siano particolarmente allarmanti, sta vivendo un momento di preoccupazione per la tenuta e la capacità ricettiva delle sue strutture sanitarie e ha dato giustamente la priorità alla creazione di posti letto e reparti di isolamento in ogni Contea.
All’emergenza sanitaria che il Ministero della Salute sta gestendo nel miglior modo possibile fa riscontro la difficoltà degli altri apparati governativi che faticano a prendere decisioni che possano dare ottimismo ai settori che, con i giusti controlli e paletti, potrebbero già ripartire esattamente come sono ripartiti Paesi nel mondo che presentano anche tre volte i casi quotidiani e fino a venti volte i decessi in un giorno del Kenya (ad esempio, l’Italia).
Il rischio di una seconda ondata, che per il Kenya sarebbe semplicemente il picco della prima, ancora in corso, non è da sottovalutare ma il protrarsi della crisi economica in un Paese dell’Africa Subsahariana può significare fame e conseguenti rivolte, ma anche altre malattie conseguenti che paralizzerebbero ancor più la sanità.
Nella Contea di Marsabit le popolazioni seminomadi, che da tempo (si pensi a Samburu e Pokoth) vivono una sorta di “guerra fredda” sono tornate a dissotterrare l’ascia e si uccidono per gli abbeveraggi del bestiame e i campi coltivati (ieri almeno 4 morti e una 20 di feriti), nella zona del Tana River si rischia la stessa recrudescenza.
Nelle zone di confine con la Somalia, specialmente a Mandera, Al Shabaab approfitta del coprifuoco per colpire polizia e posti strategici, particolarmente tralicci per le comunicazioni.
In questo quadro di attesa che non può più attendere, si inserisce il problema sempre più grave del Turismo che non è come pensano in molto un ghiribizzo di pochi stranieri privilegiati, ma un sistema che da lavoro con il suo indotto in tutto il Paese a 2 milioni di keniani e che se non riparte anche a marce ridotte, rischia di mettere in ginocchio una fetta della popolazione.
Dopo l’ultima estensione delle restrizioni e in particolare l’impossibilità di aprire i ristoranti la sera e gli hotel con linee guida concordate, molte attività che hanno fatto sacrifici fino ad ora attendendo la luce in fondo al tunnel, iniziano a licenziare e mettere in “cassa integrazione” i dipendenti e la differenza con altri Paesi è che il Governo non ha studiato ammortizzatori sociali per loro così come non sono chiare le misure che verranno prese a tutela delle aziende stesse.
Dei tre miliardi di scellini stanziati per il settore nell’ambito della prossima finanziaria, addirittura uno sarà investito in marketing. Ce lo potevamo risparmiare, quando gli hotel avrebbero bisogno di linfa vitale come sgravi fiscali e appunto un aiuto per conservare la forza lavoro fissa che significa anche mantenere certi standard di qualità, sicurezza e professionalità. Per non parlare della possibilità di poter offrire condizioni speciali ai clienti o anche solo essere rimborsati in parte dei lavori sostenuti per adeguare le strutture alle procedure di contenimento e prevenzione Covid-19.
Questa settimana ci saranno alcuni importanti meeting online delle categorie, con la Kenya Tourist Federation, sempre molto ascoltata ai piani alti, sugli scudi. Speriamo che ne escano indicazioni utili a ridare ottimismo al settore turistico e stabilire le benedette linee guida definitive per poter dire a chi vuole venire in Kenya (e le richieste ci sono, la conferma arriva proprio dalle associazioni, oltre che dai siti di prenotazioni di tutto il mondo e nel nostro piccolo dal portale degli italiani in Kenya) quando, come e a che condizioni economiche e di servizi potrà farlo.
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