LUTTO
01-11-2017 di Freddie del Curatolo
Dopo tante battaglie in campo e tante avventure in giro per il mondo, Stefano Salvatori ha perso quella più importante di tutte.
L’ex calciatore del Milan e della Fiorentina, conosciuto da tutti a Malindi, a soli 49 anni si è spento dopo una lunga battaglia con un male bastardo contro cui ha lottato da leone.
Sembrano frasi fatte, ma nel caso di Stefano no.
Perché non è da tutti lottare con il sorriso ogni giorno, decidere di mettere al mondo due bambini sapendo già che potrebbero crescere senza la sua guida e il suo affetto e dargli amore nonostante i momenti di sconforto.
Promettente centrocampista, Salvatori ha vissuto gli anni d’oro rossoneri, facendo parte della squadra che vinse la Coppa dei Campioni nel 1990, oltre ad aver giocato con la Viola, l’Atalanta e la Spal.
Dopo aver passato qualche stagione a Malindi, nel mezzo delle sue avventure scozzesi (aveva concluso la carriera di calciatore a Edimburgo e lì più avanti ha conosciuto la compagna australiana) si era trasferito a Brisbane, dove dirigeva una scuola calcio giovanile.
Lo stesso sogno che aveva coltivato con me e l’ex calciatore Riccardo Botta alla Malindi United.
Far crescere i ragazzi disagiati dei quartieri poveri insegnando loro la parte “sana” del calcio.
A Malindi ce lo aveva portato l’amico Franco Barlocco, con cui condivideva la gioia di vivere e di divertirsi.
Tornava d'inverno, anche due volte all'anno e per un po' aveva pensato di trasferirsi definitivamente in Kenya.
“Stefano è una delle persone più pure e più belle che abbia mai incontrato – racconta con gli occhi lucidi Barlocco, che frequenta Malindi da tanti anni – aveva un amore incondizionato per la vita e un senso dell’amicizia sincero. Per questo sulla costa del Kenya in poco tempo si era fatto tanti amici che oggi piangono un ragazzo che se n’è andato così presto. Lo ricordo così, il suo sorriso, la voce pacata, la valigia sempre pronta per un nuovo viaggio”.
Quante cene in allegria a Malindi, bagni spensierati nell’oceano indiano, safari nello Tsavo ed escursioni a Watamu.
Senza dimenticare di essere in Africa e di poter mettere a disposizione la sua cultura sportiva e la sua filosofia di vita per il futuro di tanti ragazzi meno fortunati ma non meno fantasiosi e predisposti.
Dalle prime volte che ci frequentammo, avevo capito che Stefano con l’ambiente del calcio di oggi non aveva nulla a che fare.
Non se la “tirava” e non gli interessava fare soldi a tutti i costi.
Probabilmente per questo motivo preferiva sognare nuove avventure, possibilmente lontano dall’Italia, e stava bene in Kenya.
“Quello è un covo di squali – mi ripeteva, mentre guardavamo i piccoli keniani mettercela tutta su un campo di terra e poca erba – meglio cercare di fare qualcosa qui in Africa. Qui i ragazzi hanno ancora quello spirito con cui sono cresciuto io nei quartieri di Roma, quando correvo e tiravo calci al pallone alla Lodigiani e sognavo di diventare un giocatore vero”.
Stefano non ha mai smesso di sognare, ecco cosa lo accomunava alla gente del Kenya.
L'entusiasmo e la positività di prendere la vita come viene, lui che aveva vissuto una carriera di alti e bassi e la precarietà del "dopo" che per i calciatori spesso diventa un dramma.
Per un po’ di tempo, mentre qui si divertiva facendo il “personal trainer” agli amici e correndo ogni giorno sulla spiaggia di Silversand, avevamo lavorato ad un progetto da portare al suo amico e compagno ai tempi del Milan, Marcel Desailly.
“Andiamo insieme in Gabon – mi diceva – apriamo una serie di scuole calcio per i giovani e portiamo la cultura dello sport come educazione alla vita”.
Poi le avventure lo hanno portato in Australia, e l’amore ha fatto nascere due fratellini, mentre in contemporanea diventava già nonno di una delle figlie avute in Italia dal primo matrimonio.
Era diventato grande, Stefano.
Grande come il suo cuore, che lo era sempre stato.
E sarebbe sicuramente tornato a trovarci per un safari con la sua famiglia, in questo luogo dai grandi spazi dell’anima e dai grandi sogni, che gli somigliava così tanto.
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