AMICI DELLO TSAVO
04-10-2020 di Giovanna Grampa
Grandi novità nel parco dello Tsavo per gli animali che festeggiano, proprio in questi giorni, una nuova location per abbeverarsi con l’utilizzo della tecnologia green. L’energia solare ha fatto il suo ingresso in savana grazie alla DSWT (David Sheldrich Wildlife Trust) che ha realizzato un pozzo decisamente innovativo. Fino a qualche mese fa il progetto era top secret: ne eravamo al corrente ma lo stop in Italia, causa pandemia, ci aveva impedito di assistere alla realizzazione.
Non vediamo così l’ora di prenderne visione e ci dirigiamo, eccitati per la novità che ci attende, verso il pilar 158 sulla strada che dal Voi Safari Lodge porta a Mudanda Rock, direzione finale Manyani Gate.
Lungo il percorso, prima di raggiungere il laghetto di Irima, la natura ci appare carbonizzata dai recenti incendi che hanno divorato la savana: qua e là spuntoni di alberi bruciati contornati da tizzoni spenti e riarsi interrompono l’immensità della pianura che si estende davanti a noi, srotolandosi come un tappeto senza fine ai nostri piedi. Sullo sfondo la città di Voi e la ferrovia Mombasa-Nairobi, con la loro vita di tutti i giorni.
Anche la collina dove Denys Finch Hatton cadde con il suo biplano Gipsy Moth il 14 maggio 1931, perdendo la vita, è ricoperta di cenere ora rossastra per effetto della terra trasportata dal vento: non un filo d’erba, i pochi alberi rimasti sono tutti bruciati e i loro tronchi anneriti e piegati dalle fiamme sono il vessillo di un sacrificio ambientale che commuove fino alle lacrime.
Al punto 158 giriamo a destra imboccando la strada che porta alle Lugard’s Falls: l’assenza di tracce di pneumatici e la quantità infinita di impronte sovrapposte e indistinguibili lungo il percorso testimoniano che questa zona non è frequentata da nessuno. L’assenza totale di acqua e la vegetazione molto fitta sono un deterrente per i turisti che rischiano di non vedere animali, perdendo del tempo prezioso.
La curiosità aumenta ad ogni minuto e non riesco ad immaginare come sarà la zona verso la quale ci stiamo dirigendo e soprattutto se l’abbeverata sarà già frequentata.
Dopo circa sei chilometri notiamo finalmente una bassa costruzione dove poggiano otto pannelli solari con un recinto elettrificato e tutto attorno pietre ammassate una sull’altra per proteggere l’impianto da eventuali attacchi di animali, specie elefanti che con il loro peso sarebbero in grado di distruggere tutto.
La pompa di immersione lavora alla profondità di circa 250 metri e tramite l’energia dei pannelli solari porta in superficie acqua dolce incanalata in tre tubazioni che alimentano altrettanti laghetti ben distanziati tra loro. Lascio vagare lo sguardo intorno, piacevolmente sorpresa.
Mi sembra di entrare in un club privato per animali assetati: non sono semplicemente dei laghetti ma diamanti incastonati che ingioiellano la terra rossa vellutata della savana, circondata da vegetazione secca dove perfino i grossi rami di alberi, ormai morti, sembrano elementi decorativi voluti dal fantasioso architetto di Madre Natura. I contorni color ocra si riflettono nell’acqua unito al blu cobalto del cielo mentre la savana emana i suoi odori speziati e il canto gioioso e sonoro degli uccelli africani interrompe il silenzio, padrone di ogni cosa. Emozioni che non lasciano indifferenti.
Ci sono impronte ovunque e tra queste spiccano con una nitidezza inconfondibile le orme di leoni adulti e cuccioli abbastanza recenti. Un dik dik nascosto in un cespuglio ogni tanto fa capolino guardandoci smarrito con i suoi occhioni tondi e una elegante e flessuosa giraffa che porta a spasso sul collo sinuoso qualche bufaga ci guarda languida nell’attesa di poter raggiungere l’acqua, piegarsi goffamente sulle ginocchia, per finalmente dissetarsi con l’acqua fresca e dolce che esce in continuazione da un tubo protetto da una massicciata di pietre stondate, perfettamente in tono con i colori della savana.
Il fondo impermeabilizzato di ogni laghetto eviterà l’assorbimento dell’acqua da parte del terreno e renderà progressivamente sempre più vasta la loro superficie: solo l’elevate temperature ne faranno evaporare una parte, ma il rifornimento sarà costante e continuo. Un vero paradiso per tutti gli animali, grandi e piccoli, senza barriere o muretti di protezione. Ed io, come al solito, sono in estasi.
Per capire a fondo la novità del progetto occorre ripercorre la storia delle varie fonti per la gestione dell’acqua, costruite per abbeverare gli animali nello Tsavo. Inizialmente, parliamo di oltre trenta anni fa, esistevano solo pianure alluvionali, piccole depressioni del terreno che sfruttavano la naturale pendenza per far confluire l’acqua durante la stagione delle piogge. Pozze tradizionali, tuttora esistenti, destinate ad esaurirsi durante la stagione secca fino a diventare prima acqua salmastra e fangosa e poi zone completamente asciutte e inefficaci. Vere trappole, purtroppo a volte fatali, per gli animali che spesso rimangono incastrati nel fango.
Poi il KWS (Kenya Wildlife Service) ha trovato sponsor, e noi tra questi, per costruire delle pozze rettangolari simili ad abbeveratoi collegandoli tramite pompe che attingevano l’acqua dalle tubature per uso civile. Il riempimento era regolato da un galleggiante ma i tecnici non avevano previsto che gli elefanti con il loro peso avrebbero rotto i tubi interrati a una scarsa profondità e che il galleggiante sarebbe stato distrutto in poco tempo. Risultato: pozze distrutte, ancora visibili oggi alla Pipeline, ed animali assetati. A poco sono servite poi le varie cisterne di acqua potabile da 10.000 litri acquistate e trasportate con autobotti per riempire questi abbeveratoi: in pochi giorni venivano avidamente svuotati da elefanti sempre più assetati, mentre gli animali di piccole dimensioni non riuscivano nemmeno a raggiungere l’acqua, ostacolati dal bordo della vasca.
Nascono poi i primi Kijito (piccolo fiume in lingua swahili) donati dalla DSWT che sfruttano ancora oggi l’energia eolica. Un passo avanti ma perfettibile. Girando per lo Tsavo tra Aruba e la pianura di Ndara si vedono svettare tralicci che supportano una grande ruota che gira e cambia direzione in rapporto alle raffiche di vento. E’una struttura costruita per sfruttare l’energia del vento attraverso l’azionamento delle pale, attivare una pompa di profondità e portare l’acqua ad una pozza rotonda costruita in cemento e circondata da un muretto alto circa sessanta centimetri. Un foro per il troppo pieno garantisce l’uscita dell’acqua in eccesso che va a formare nel terreno antistante piccoli laghetti più o meno estesi. Ne esistono quattro in tutto lo Tsavo, tuttora funzionati e preziosi come l’oro soprattutto nei periodi di siccità. L’esperienza ha però insegnato che a volte il vento è troppo debole e l’acqua portata in superficie non riesce a riempire in modo adeguato la pozza né tanto meno ad alimentare i laghetti che tendono ad inaridirsi.
Un altro inconveniente è causato dagli elefanti che non si accontentano di immergere le loro proboscidi per trarne generose sorsate d’acqua ma entrano con tutto il corpo nella pozza per bere, rinfrescarsi e nel contempo sporcare con le loro deiezioni quella che dovrebbe essere acqua sempre pulita. L’accumulo di questa “fanghiglia” col tempo ottura il foro di uscita dell’acqua e la pompa smette di lavorare. Sono così necessarie periodiche manutenzioni per rimuovere lo sporco e reimmettere nuova acqua nell’attesa della prossima ripulitura. Nel frattempo intere famiglie di elefanti si ostinano nel consolidare le loro abitudini innescando il circolo vizioso di sporcare costantemente l’acqua che sgorga pulita dalla falda acquifera.
Un altro progetto risalente a qualche anno fa e realizzato nella pianura di Kanderi ha previsto già l’utilizzo di pannelli solari ma l’acqua è stata nuovamente convogliata in tre pozze distanziate tra loro, ancora in cemento e circondate da un muretto. Il problema però è sempre lo stesso: è indispensabile una costante ripulitura del fondo reso melmoso dagli elefanti.
Ed ora finalmente l’idea dei pannelli solari evitando costruzioni in cemento con bordi per dare la possibilità a tutti gli animali, dal dik dik all’elefante, di bere a filo terra, in un laghetto senza barriere di nessun tipo con estrema facilità. Chissà cosa si inventeranno questa volta gli elefanti per stimolare l’uomo a costruire strutture sempre più adeguate alle loro infinite esigenze. Si tratta di aspettare un po’ e lo sapremo.
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