MAL D'AFRICA
04-02-2009 di Ele
Era luglio del 2004 ed io ed il mio compagno stavamo pensando dove trascorrere le nostre vacanze. Silvano non aveva idee ed io chissà perché mi ero focalizzata sul Kenya.
Forse perché avevo visitato per caso un sito su questo paese.
Il sito di un signore di Roma che circa 12 anni fa era andato in vacanza in Kenya e che non era più tornato: si era infatti trasferito a Watamu dove organizzava safari.
Ho scritto a questo signore che si chiama Ugo e lui mi ha spiegato che per lui e sua moglie il Kenya è stato amore a prima vista tanto da lasciare i loro lavori a Roma e trasferirsi lì. Questa cosa mi ha fatto molta impressione ed ho insistito ancora di più per andare in vacanza in Kenya.
Il mio compagno, che è un abile navigatore di internet, un giorno mi chiama e mi dice che c’è l’offerta di un’agenzia che offre un viaggio a Watamu per 15 giorni all’Hotel Sun Palm per soli 1000 €.
Scrivo subito all’amico Ugo e gli chiedo informazioni sull’Hotel e lui mi garantisce che è una bella struttura. Ok quindi si decide di comprare quel pacchetto e di partire per l’Africa.
La partenza è per dopo la metà di settembre, quando a Roma già cadono le prime piogge ed un antipasto di autunno rende l’arietta frizzante.
La prima cosa che mi colpì del Kenya, il giorno del mio arrivo, fu l’odore diverso dell’aria. Lo sentii ancor prima di vedere o udire qualsiasi altra cosa del Kenya. Fin da quando ho sceso la scaletta dell’aereo quell’odore mi emozionò e mi riempì di gioia: ero appena partita da Roma ed era come rinascere al mondo.
Il viaggio dall’aeroporto iniziò su di un’ampia strada ampia moderna, fiancheggiata da palme e cespugli ricolmi di fiori, sembrava proprio il paesaggio ordinato e razionale attorno ad un qualsiasi aeroporto. Poi all’improvviso la strada si strinse ed il contrasto fu talmente violento da sembrare quasi un effetto calcolato. La strada iniziò ad inoltrarsi prima fra le case sempre più fatiscenti di Mombasa, poi fra bidonville dell’estrema periferia mi strinse il cuore in una morsa di vergogna.
Una distesa di catapecchie si dispiegava a partire dal ciglio della strada come una serie di dune brune e nere. Bancarelle improvvisate con in mostra impossibili oggetti che però per il fatto che sono lì c’è qualcuno disposti ad acquistarli. Il tutto immerso in boschi di palme e alberi di banano.
Poi osservai le persone, e vidi quanto erano indaffarate, quanti sforzi e quanta energia richiedesse la loro esistenza. Vidi le loro capanne fatte di fango e notai la pulizia attorno ad esse.
E poi notai, anche se avrei dovuto notarlo subito, quanto erano belle le donne avvolte nei loro parei colorati che camminavano a piedi nudi con grazia paziente ed eterea; la bellezza degli uomini, fieri come gli antichi guerrieri dai denti candidi; notai l’affettuosa complicità fra i bambini dalle membra aggraziate, i più grandi che giocano con i più piccoli, molti che reggevano i fratellini e sorelline sulle anche snelle. Dopo un’ora di corsa sul bus, sorrisi per la prima volta.
Ed ecco che l’odore si fa sempre più pungente, un odore dolce impregnato di sudore della speranza; è l’azzurro aroma di mare; è l’aroma di spezie mischiato a rifiuti che bruciano, l’odore innanzitutto fu a darmi il benvenuto, a dirmi che sono tornata a casa.
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