PERSONAGGI
03-07-2019 di Freddie del Curatolo
Dovete credermi, esistono monumenti che sembrano delicati come rose ma in realtà hanno la solidità secolare di alberi di cedro.
Sono monumenti umani e di umanità ma dei fiori conservano il profumo e degli alberi la rispettabilità.
Quando ci troviamo al cospetto di un simbolo di eternità, non dovremmo chiederci da dove venga o quanti anni abbia ma semplicemente respirarne la saggezza, lo spirito vero e senza tempo perché è ciò che si avvicina di più al senso stesso dell’esistenza.
Dietro ad ogni monumento umano però c’è una storia, che vale la pena di essere raccontata.
Il profumo di rosa che chi vi scrive ha respirato in una sobria villa di Nairobi immersa nella vegetazione equatoriale, arriva dall’Italia.
Se per mezzo secolo i figli degli italiani in Kenya hanno potuto studiare o perfezionare la loro madrelingua, lo devono a lei: Giuliana Mollea Moretti, che tra un anno ne compirà cento.
La rosa esisteva veramente. Era custodita in un piccolo vaso di terracotta, unico cimelio che la giovane professoressa di lettere dell’entroterra di Savona portava con sè in Africa, su una bananiera pronta a salpare dal porto di Genova, nel 1955.
"Duve ti vé, bella figgetta?" (Dove vai, bella figliola?) le chiedevano in dialetto i marinai, tra la curiosità e l’eccitazione di averla a bordo.
Quella donna coraggiosa e allo stesso tempo sbarazzina andava a Mombasa, abbracciava l’Africa nera per sposarsi.
Aveva conosciuto il il futuro marito, Domenico Moretti, ex prigioniero di guerra italiano in Est Africa, andando l’anno prima a trovare suo fratello che lavorava in Kenya.
Galeotta fu una vacanza nello Tsavo.
Il suo primo alloggio, come appunta in un preziosissimo diario, era composto da: “una lanterna e migliaia d’insetti, un tavolaccio in una capanna di foglie di palma, un letto duro ma ottimo per ascoltarvi ad occhi chiusi i ritmi battuti dai neri presso i fuochi sui loro rudimentali strumenti”.
Giuliana e Domenico si sposarono e si trasferirono a nord, in una verde ed immensa fattoria delle Highlands. Scenari inediti, persone così diverse con cui raffrontarsi, una lingua nuova da imparare, il kiswahili. Lungi dall’insegnante abbattersi alle prime difficoltà.
“Sono sempre stata guidata da un naturale entusiasmo per le cose – racconta a malindikenya.net – e da un inguaribile ottimismo che mi ha permesso di vedere sempre il lato positivo di avventure e vicissitudini africane. In più ho sempre avuto la predisposizione a socializzare e il conforto che gli italiani sono amati in tutto il mondo”.
In quegli anni il Kenya stava lottando ferocemente per ottenere l’indipendenza dal Regno Britannico, sui monti intorno a Nairobi era scoppiata la rivolta dei Mau Mau, gli italiani spesso erano spettatori neutrali ma le fattorie erano spesso teatro di assalti e razzie e Giuliana Mollea Moretti frequentava indifferentemente espatriati d’ogni nazionalità e gli indigeni della zona.
“I britannici ci prendevano in giro, dicevano che noi italiani eravamo mezzi africani perché parlavamo più facilmente la lingua del Kenya piuttosto che l’inglese. Così io quando li incontravo, sorridendo li salutavo con un jambo!”
Domenico Moretti la mattina si recava al lavoro e lasciava alla moglie, che aveva da poco dato alla luce una bambina, Dianella (che oggi lavora per l’Unione Europea a Nairobi) una pistola sul comodino.
“Sapevo già che non l’avrei mai usata – rivela l’insegnante - un giorno uscendo incontrai uno strano personaggio con lunghe trecce. Condivisi con lui un bel tratto di strada conversando amabilmente con lui. Venni poi a sapere che era uno dei capi della ribellione Mau Mau”.
Nonostante la positività e la predisposizione d’animo dei Moretti, quando la situazione del Kenya degenerò, all’inizio degli anni Sessanta, la famiglia si trasferì nella vicina Uganda, dove Giuliana ebbe modo di perfezionare l’inglese.
Durante il soggiorno a Kampala Giuliana conobbe anche il Padre della Patria, Jomo Kenyatta, che si complimentò per la sua eleganza “tipicamente italiana”.
L’insegnante e il primo Presidente del Paese si sarebbero rivisti qualche anno più tardi, quando i Moretti fecero ritorno a Nairobi.
Con l’Indipendenza del Kenya, molti italiani diventarono utili se non necessari a costruire una nuova Nazione, lavorando fianco a fianco con la nuova classe dirigente locale.
Fu così che Giuliana realizzò il desiderio di tornare ad impartire lezioni d’italiano.
Dal 1964 decine e decine di connazionali di stanza in Kenya, dai figli dei prigionieri agli impiegati di Agip e Alitalia, avevano la loro “prof”. Così come indiani, inglesi e keniani poterono imparare una lingua importante per il loro lavoro.
“Non potevo evitare uno sguardo ai meno fortunati – ammette – così spesso al termine delle lezioni regolari, mi intrattenevo con gli alunni più poveri e con i keniani che non si potevano permettere di frequentare le scuole secondarie”.
Agli allievi con ambizioni universitarie insegnò anche il latino, ad altri fece amare i classici della nostra letteratura e la Divina Commedia.
Giuliana ha visto crescere l’attuale Presidente del Kenya, che frequentava lo stesso college dove lei insegnava italiano. Ancora oggi quando Uhuru Kenyatta la incontra, s’inchina davanti a lei rispettosamente e la ringrazia per la sua opera, per la quale due anni fa è stata anche insignita dal Presidente della Repubblica Mattarella.
In realtà ogni italiano nel mondo dovrebbe inchinarsi rispettosamente davanti a questo meraviglioso albero dal profumo di rosa, le cui radici profondamente italiane hanno ramificato armoniosamente in terra d’Africa, rendendola fertile di cultura e mantenendo il legame con le tradizioni, la bellezza e i migliori costumi del nostro Paese.
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