EDITORIALE
22-03-2017 di Freddie del Curatolo
Metà ottobre - metà aprile.
Questo il periodo preferito per i villeggianti dei sei mesi in Kenya, quelli che sfruttano la massima durata del visto turistico (3 mesi rinnovabili per altri 3, alla modica cifra di 20 euro).
Una grande migrazione che non ha nulla a che vedere con quella di gnu e zebre dalla savana del Kenya alla Tanzania e ritorno. Non è una transumanza per la sopravvivenza, ma piuttosto una trasvolata verso un piacere lungo 180 giorni, minuto più, minuto meno.
Alcuni arrivano quando ancora c’è l’ora solare e i primi castagni vedono ingiallire le loro foglie, altri aspettano la fredda tristezza di novembre.
Se ne tornano, arrostiti come gamberoni sulla graticola, con gli ultimi charter perché dopo aver fatto più o meno nulla per tutto questo tempo, non ci hanno mica voglia di fare un viaggio di 14 ore.
I più temerari scelgono Ethiopian o Turkish perché volano da Mombasa e ormai hanno fatto amicizia con i simpatici steward etiopi e le ruvide hostess di Istanbul.
A Malindi e Watamu, inutile dirlo, i mzungu migratori sono quasi tutti italiani, con qualche sparuta minoranza elvetica, francese, tedesca.
C'è anche uno di San Marino, pare, ma si vergogna e non lo dice a nessuno.
Sono in gran parte pensionati (anche questo si poteva non precisare) e quindi non hanno date fisse né scadenze importanti.
La voce "impegni" per loro solitamente corrisponde alla parola "nipoti".
Ma la tribù degli svernatori include anche chi ultimamente in Italia non si sente più tanto a casa sua. Persone che vorrebbero una vita più semplice, meno frenetica, se non proprio a misura di sogni, almeno in sintonia con i pensieri meno cupi, con la depressione generale che aleggia sulla penisola come una di quelle perturbazioni di cui nemmeno Bernacca riusciva a spiegare l’origine.
Quindi c’è chi affitta il suo unico appartamento, il garage, la cantina e venderebbe pure la zia rompiballe per esperimenti scientifici se potesse, facendo bene i suoi calcoli: “con quel che mi costa il riscaldamento d’inverno, mi ci pago l’affitto in un residence con piscina, con le multe, l’imu e le altre sigle del cacchio ci pago da mangiare, e il resto è mancia, alla donna delle pulizie e al ragazzino che mi porta le noci di cocco e i manghi ogni mattina.
Sei mesi di relax, sei mesi di clima accondiscendente ed altrettanti di mare, iodio e beach boys.
Eh, insomma, non si può avere solo gioie…in più c’è anche chi ha qualche passione da soddisfare: il jogging, la lettura, lo snorkeling, la pesca, la caccia grossa nei night club.
E c’è chi è talmente in astinenza d’affetto, anche perché in Occidente se n’è perso un po’ il senso primordiale, che tende a chiamare amore un semplice scambio di diverse necessità.
Ci sono uomini e donne che si sono presi l’anno sabbatico (alcuni rimarranno sette anni, dopo aver scoperto che “saba” in swahili vuol dire “sette”), altri che hanno un gruzzoletto da far fruttare ed è già buono se non se lo mangiano proprio come frutta esotica, altri ancora che sono arrivati da turisti e trovano da lavorare.
Gratis, magari, ma è già un buon inizio.
Insomma, eccola la variopinta umanità che riempie Malindi da autunno a primavera.
Hanno scelto il luogo dell’immutabile, del “pole pole”, e si rilassano talmente tanto che da migratori spesso diventano “pigratori”.
Per questo per loro il Kenya è una certezza, e quest’anno, forse più di quelli passati, già prenotano per l’inverno successivo.
Perché anche qui forse si stava meglio quando si stava peggio e una volta era tutta foresta, ma non sentirai mai dire che non ci sono più le mezze stagioni.
Le stagioni a Malindi sono tutte intere, e durano giusto il tempo di un permesso di soggiorno.
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