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Casuarina, Malindi: cronaca di un inferno

Tra chi ha perso tutto e un'umanità divisa in due

11-04-2019 di Freddie del Curatolo

Abbiamo ricevuto le prime segnalazioni verso le 10.30 di ieri mattina.
"C'è un gran fumo a Casuarina, dietro il Kilili Baharini Resort verso l'interno. Ho paura che stiano bruciando alcune case".
La scena che ci si presenta agli occhi è di quelle già vissute a Malindi, anche se per rivivere un dramma del fuoco di questo genere bisogna tornare indietro a dieci anni fa. Era il 20 giugno 2009 quando un incendio del genere distrusse oltre 40 ville tra Kibokoni e Palm Tree, compreso l'omonimo hotel e l'Auberge Du Chevalier.
Makuti in fiamme e calore che invade le strade, un brulicare di gente che accorre e si confonde con il personale delle molte ville chiuse per ferie e per la bassa stagione, con i proprietari all'estero.
Come sempre, e come capita in tutto il mondo (conosciamo bene questi episodi accaduti in Italia durante i terremoti dell'Aquila e di Amatrice) gli sciacalli sono in agguato: qui hanno le sembianze dei disperati del quartiere povero di Muyeye che sorge alle spalle della zona residenziale di Casuarina.
Da lì provengono soprattutto giovani e si propongono di aiutare giardinieri e houseboy delle case private e dei piccoli resort e b&b della zona.
C'è chi fa irruzione nelle ville e se ne esce con qualsiasi cosa sia riuscito a recuperare, ma non per salvarla, bensì per salire su un boda-boda (le motociclette taxi) e tornare alla sua baracca di fango e lamiera. 
Poi si aggiungono giovani esagitati che lasciano la loro "occupazione" di beach e street boys. Disperati che per comprarsi alcool e droga rischiano le fiamme e escono dalle case con televisori, computer, materassi. E via su un boda boda.
C'è chi invece chi è talmente fatto anche per rubare e si accontenta di una birra saccheggiata da un frigo.
E' un'umanità divisa in due, perché dall'altra parte ci sono decine e decine di dipendenti che cercano di recuperare quel che si può dalle ville che garantiscono loro uno stipendio e gli effetti personali di datori di lavoro a cui sono in un certo qual modo affezionati.
In ogni situazione dove alla più desolante miseria fa riscontro l’opulenza di residenze ricche, succederebbe lo stesso e forse anche di peggio.
Pensiamo al Brasile e alle sue favelas, al Centro America e purtroppo ultimamente anche a certe periferie italiane.
Qualcuno ha chiamato un camion per caricare le cose che è riuscito a recuperare e portarle al sicuro, chi si preoccupa di mettere al sicuro i suoi cani, chi disperato si mette a sedere all'ombra di una pianta e guarda attonito il cielo africano pieno di fumo.
Passaporti, due soldi dalle cassaforti, documenti, chi riesce riempie una borsa con oggetti cari, un quadro, due fotografie, un hard disk dove c’è mezza vita.
Chi se ne frega dei vestiti, dei mobili anche di pregio, di tutto il resto.
Il fuoco intanto si attenua, ma allo stesso tempo si propaga parallelamente alla strada asfaltata di Casuarina, dove sembra che la vita scorra tranquilla come tutti i giorni, se non fosse per le colonne di fumo che salgono non troppo lontane.
Ancora più tranquilla, purtroppo, è la situazione davanti alla stazione dei pompieri.
E' una pigra, assurda tranquillità.
I due mezzi della Fire Brigade di Malindi dopo un’ora dal divampare delle prime fiamme e dalle segnalazioni dei residenti giacciono inermi sotto la tettoia con vista sulla strada di Casuarina, a poche centinaia di metri dalla zona incriminata, che avrebbero potuto raggiungere in cinque minuti. Alcuni ne avrebbero visto uno cercare di intervenire, con un limitatissimo quantitativo di acqua, per poi tornare indietro.
Invece per motivi alla cittadinanza ormai noti, che possono variare da mancanza di soldi per la benzina, a impossibilità di rifornirli d’acqua fino a problemi meccanici o autisti non pervenuti al lavoro, nulla si muove.
Si dovrà attendere ancora prima dell’arrivo di un mezzo da Kilifi, capoluogo di Contea e sede del Governo regionale dove, chissà come mai, il camion dei pompieri funziona e ha benzina a sufficienza per arrivare nella cittadina che conta più abitanti e molte più case. Poi arriverà anche un mezzo dalla lontanissima Mariakani.
Intanto c’è chi è riuscito a domare le fiamme con metodi artigianali, cercando di bagnare i tetti di palme secche non ancora colpiti. Questo makuti così bello da vedersi, così fresco per camere e verande, così “mal d’Africa” ma altrettanto terribile quando viene attaccato dal fuoco. Tramite i tetti e le sterpaglie del periodo più secco e torrido dell’anno, le fiamme contagiano casa su casa, cottage e agglomerati.
La polizia intanto, all’angolo tra Neem Road e Ebony Road cerca di disperdere gli avvoltoi e i curiosi, mentre i pompieri arrivati da Kilifi concentrano i loro sforzi su Ferrara House e Upeponi, nella zona da dove si dice sia partito il corto circuito che avrebbe causato l’inferno senza precedenti per Casuarina.
Stanotte saranno in tanti a dormire a casa di amici, in hotel, in situazioni di fortuna.
Per fortuna non ci sono vittime né feriti, anche perché spesso le lacerazioni del cuore e dell'anima non vengono considerate tali.
Molti dipendenti delle case private alloggiavano lì e parimenti hanno perso tutto. La loro abitazione, il villaggio natio, è magari a 40 chilometri da Malindi ma non ci possono tornare, devono restare a guardia dei cimiteri della cenere e spegnere gli ultimi tizzoni.
Sono loro i testimoni di un disastro che ci vorrà del tempo per cancellare, anche se per fortuna Malindi è abituata a rinascere ogni volta. Anche dalle sue stesse ceneri.

(foto di Leni Frau)

TAGS: incendio malindifiamme malindicasuarina malindi

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