IL RICORDO
25-02-2015 di Freddie del Curatolo
Non era una persona facile, Marco Vancini.
Quando penso a lui, mi vengono sempre in mente i versi di quella bellissima canzone di Ivano Fossati, “La musica che gira intorno”.
Per niente facili, uomini sempre poco allineati, sempre poco affezionati…quelli che li puoi trovare ai numeri di ieri, se nella notte non li avranno cambiati, ma quelli che poi li incontri in aereo e hanno facce e mani di chi non fa per niente sul serio.
Con me, che posso con una punta d’orgoglio ritenermi da sempre un “non allineato”, Marco non ha mai cambiato numeri e non ha mai avuto bisogno di “fare sul serio”.
Ci conoscevamo da 25 anni e, come spesso accade tra residenti di Malindi che sono cresciuti e (mai abbastanza) sono invecchiati frequentandosi con cadenze maggiori di quanto non si fa con i parenti rimasti in Italia, c’era quel rapporto che definire amicizia è sempre esagerato, ma dire “semplice conoscenza” è decisamente riduttivo.
Ogni volta che ci siamo trovati a parlare di Malindi, di qualche personaggio o situazione particolare, di fatti e avvenimenti da promuovere, amplificare, organizzare o censurare, con Marco arrivava il momento del “fuori onda”, quello in cui i suoi occhi chiari finalmente ti guardavano dritto in faccia e la sua voce diventava più espressiva.
Aspettavo sempre le parole vere di Marco, perché ho imparato con gli anni che ne aveva.
Calibrate, intelligenti, mai a sproposito.
Ed erano di gran lunga più interessanti, per me, di quelle che per dovere, mestiere o circostanza solitamente dispensava, sempre con naturale parsimonia.
Quello era l’attimo in cui mi sentivo “amico” di Marco, o in cui mi illudevo di avere la sua stima, la sua considerazione.
Quando le sue labbra sottili e ritrose si aprivano in un accenno di sorriso.
Se ci scappava pure la battuta, la sottile ironia quasi anglosassone, era sempre un bel momento.
Poi, negli ultimi due anni, si era anche aggiunta la variabile del “profilo istituzionale”.
Lui Console, io Stampa.
Dopo l’ultima intervista che gli avevo fatto, che avevo voluto fosse in video, gli avevo fatto notare il tono un po’ dimesso, addirittura tristanzuolo.
"Dai Marco, ne vogliamo fare un'altra con un po' più di brio?"
“Eee Freddie, che cavolo…lo sai che sono fatto così”
E ci era venuto da ridere…una cosa velocissima, prima dei saluti di rito.
Sbrigativi, alla sua maniera.
Era un personaggio riservato, ma non schivo e men che meno snob.
Gli orsi sono fatti in tutt’altra maniera, e gli stronzi pure.
Marco Vancini sapeva stare in mezzo alla gente, e si era da tempo abituato ad essere un personaggio pubblico, anche se c’era nella sua partecipazione qualcosa che gli attenti osservatori potevano definire “leggero disagio” o “velata malinconia”.
Un timido, forse. Ma con le palle. Binomio che poche volte ho riscontrato negli uomini d’affari, piuttosto negli attori, o negli sportivi.
In chi, insomma, sfida la sua eterna insicurezza come fosse la partita da vincere ogni giorno.
Tra la carriera italiana di cronista e la lunga esperienza malindina, ho conosciuto centinaia di imprenditori, uomini d’affari, per non parlare di politici, piazzisti e carrieristi.
Di Marco mi ha sempre attratto l’aria mai completamente assorbita dal suo ruolo, sempre un po’ frenata e persa in qualche sogno di una vita più elevata e meno pubblica di quella che gli aveva comunque dato tante soddisfazioni.
Forse, come dice qualche amico più vicino, il vero Marco lo vedevi durante le partite dell’Inter, o quando giocava a tennis.
A me sono bastati un paio di sguardi, sporadiche battute e qualche scambio di vedute, per poter scrivere che, tra tanti dimenticabili maschere transitate da queste parti, opportunisti, voltagabbana, inaffidabili, avidi e pavidi elementi, insieme con anime semplici, pure, dignitose,decise, illuminate, ironiche, sensibili e anche grottesche, Marco Vancini era Marco Vancini, e mi mancherà.
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